lunedì 11 marzo 2013

L'importanza della Potenza 1: Power to the people

Protocollo Ministeriale 5

La potenza è l'espressione di forza più comune nel movimento umano, dal camminare al sollevare i pesi.
Quando si pianifica un allenamento non si deve prendere in considerazione solo lo sviluppo della forza ma anche il tempo impiegato per la sua espressione. 
Prima di entrare nello specifico vanno chiariti alcuni concetti.
  1. Cosa è la forza neuro-muscolare.
  2. Meccanismi di sviluppo della forza.
  3. La relazione Forza - Velocità.
1.  Secondo Zatsiorsky la forza neuro-muscolare è la capacità di contrastare o vincere un'opposizione esterna con uno sforzo muscolare. La forza in fisica è una misura istantanea dell'interazione tra due corpi ed è un vettore quantitativo caratterizzato da: grandezza, direzione e punto di applicazione. Al ministro e a tutti i lavoratori del ministero interessa il continuum forza-tempo piuttosto che una misura istantanea, visto che i movimenti dell'uomo richiedono del tempo per essere compiuti. Le forze che agiscono durante i movimenti sono definite forze interne e forze esterne, le forze interne sono quelle che vengono applicate tra parti del corpo umano (forza trasmessa da un tendine all'osso etc.), mentre le forze esterne sono quelle applicate dalla persona all'ambiente esterno. Il muscolo, ovvero "il mezzo" con cui è possibile sviluppare la forza ed interagire con il mondo non fa grandi cose, in realtà ne compie una sola: si accorcia se stimolato (azione miometrica)(Sherrington. 1932). Il muscolo può venir allungato non solo quando è "spento" ma anche durante la sua attivazione (azione "cedente" pliometrica) oppure può generare forza senza che si verifichi l'avvicinamento dei capi articolari (azione isometrica).

2. Essere forti è un'abilità. Cos'è un'abilità? ci aiuta il sottosegretario Kurn Meinel: 

"Si definiscono abilità motorie tutte quelle azioni e movimenti che, attraverso la ripetizione del gesto, vengono apprese in modo stabile da un individuo, tanto da essere ripetute in modo automatico, cioè senza l'intervento consapevole dell'attenzione. Si identificano quindi con la parte visibile del movimento e rappresentano il risultato finale di un processo di apprendimento." 

La Forza come descritta al punto 1 in genere è classificata come "capacità" ma per poter esprimere al meglio questa capacità si deve passare attraverso un processo di apprendimento del gesto motorio. Più lo schema motorio del gesto (saltare, sollevare pesi etc etc..) è raffinato più saremo in grado di esprimere forza dato che, in seguito ad allenamenti ben strutturati, avremo raffinato la coordinazione e alzato la soglia di tolleranza dei meccanismi di controllo neuro-muscolari (grado di tensione e allungamento del muscolo).

Risulta estremamente improbabile che un essere umano riesca a sollevare incolume  più di 130kg nello strappo olimpico senza averlo mai provato prima. Anche se questa ipotetica persona avesse una sezione trasversa dei muscoli molto grande(fattore considerato importante per l'espressione della forza) non riuscirebbe a portare a termine tale gesto sportivo. Al contrario un altro soggetto, in questo caso poco muscoloso, potrebbe tranquillamente eseguire uno snatch con 130kg se debitamente allenato ad imparare il gesto in questione.

La via di acquisizione della forza rientra appieno nei tre stadi  dell'apprendimento motorio descritti sempre dal sottosegretario Kurn Meinel:
  1. Fase della coordinazione grezza. Il processo di apprendimento inizia con la comprensione del compito di apprendimento da parte della persona, segue poi una prima rappresentazione del decorso del movimento, che si presenta in forma grezza, incompleta e spesso anche errata. A seguito di ciò vi sono i primi tentativi di esecuzione del movimento, dove i movimenti parziali non sono coordinati tra di loro, il controllo degli arti non è ottimale, l’azione globale si presenta come azioni scomposte, e la loro errata coordinazione non permette di svolgere il compito di movimento richiesto. In questa fase sono assenti gli automatismi, per cui l’allievo è costretto a controllare consapevolmente ogni aspetto del movimento, il che rende il gesto abbastanza goffo e impreciso.
  2. Fase della coordinazione fine,  l'esecuzione del gesto in condizioni favorevoli è priva di difetti, ma se intervengono fattori di disturbo questi riemergono e l'esecuzione si presenta instabile.
  3. Sviluppo della disponibilità variabile, et voilà, signore e signori, i numeri! Tale fase va dallo stadio della coordinazione fine al momento in cui l’allievo è in grado di eseguire il movimento con sicurezza e in maniera efficace, anche in condizioni difficili e inusuali.
Ora se ci fate caso, le tre fasi descritte sopra non riguardano solo i gesti atletici ma praticamente tutte le forme di apprendimento umano, questo perché esiste un denominatore comune a tutto: il cervello. 

Il cervello apprende, punto, che sia un movimento o una poesia.

Come e dove nasce il gesto motorio?
La programmazione di un movimento nasce nella corteccia premotoria, motoria supplementare e altre aree associative del cervello. Gli input generati in queste aree, nel cervelletto e in alcuni gangli della base convergono nella corteccia motoria primaria. L'impulso risultante dal rapporto tra eccitamento ed inibizione dei neuroni viene trasmesso ai neuroni spinali ed ai motoneuroni α che, insieme alle fibre muscolari innervate, formano l'unità motoria. 
Il motoneurone α (che parte dal midollo fino al muscolo target) è il punto finale dove convergono tutti gli input discendenti e dei riflessi.
Il numero di unità motorie per muscolo va da 100 (per un piccolo muscolo della mano) a 1000 (per i grandi muscoli degli arti) (Henneman. 1981). 
Secondo Burke (1981) esistono 3 tipi di unità motorie: Veloci, Resistenti alla fatica e Lente. 
Naturalmente maggiori unità motorie vengono reclutate, maggiore sarà la forza espressa, il modo in cui queste UM vengono chiamate al dovere dipende dal tipo di azione che dobbiamo compiere, le UM con bassa soglia di attivazione si accendono quando è richiesta poca forza e molta resistenza, quando invece il gioco si fa duro e viene richiesta molta forza o/e espressioni di forza rapida allora si attivano quelle con soglia di attivazione alta ad alto affaticamento (Henneman & Mendel. 1981).
Il cervello non controlla le UM singolarmente ma rispondono in gruppi a determinate frequenze di scarico inviate dal cervello per le vie discenti. Più l'impulso è intenso più unità motorie rispondono all'appello generando potenza (DeLuca, Erim. 1994).

Una volta che l'impulso raggiunge il muscolo, esso si contrae generando forza. Il controllo spinale del movimento è molto raffinato e viene gestito principalmente da due "sensori" presenti nel muscolo. Il primo è il fuso neuromuscolare, ce ne sono migliaia all'interno delle fibre di un muscolo e hanno il compito di monitorare la lunghezza del muscolo, la loro azione consiste, se attivati da un allungamento del muscolo improvviso o non riconosciuto, nel far contrarre il muscolo agonista (quello che compie il movimento). Questo è un riflesso elaborato nella spina dorsale chiamato "riflesso da stiramento" spesso richiamato in molti gesti atletici (dai lanci nell'atletica allo stacco da terra, passando per le alzate olimpiche). Un'altro piccolo organo di senso inserito nella giunzione muscolo-tendinea è l'organo muscolo-tendineo del Golgi, GTO per gli amici, questo organello ha il compito di vegliare sullo stato di tensione del muscolo, se viene generata una tensione eccessiva dal muscolo agonista il GTO, attraverso un'altro riflesso spinale, spegne il  muscolo agonista e attiva l'antagonista facilitandone l'allungamento. Da qui si realizza che la coordinazione fine dei movimenti non dipende solo dall'attivazione muscolare ma anche dalla deattivazione muscolare. Quando si prova a distendere un braccio l'azione sarebbe impossibile se il muscolo antagonista (bicipite brachiale) fosse contratto.

Uno dei fattori più importanti nel percorso di apprendimento della forza è l'innalzamento della soglia di attivazione dei GTO, questo significa che è possibile generare più tensione muscolare senza che il muscolo agonista venga spento. 
L'intervento dei GTO è una delle cause della scarsità di forza applicata dai principianti, i GTO di queste persone, percependo una tensione "mai provata prima" (touched for the very first time... come cantava Madonna) danno l'ordine di staccare tutto e chiudere bottega. Mano mano che il principiante guadagna esperienza i GTO (e non solo, esistono altri organi di controllo, come gli interneuroni inibitori) alzano la soglia di attivazione permettendo al nostro ragazzo di farsi valere contro il bilanciere. 

Da quello che abbiamo visto in precedenza riguardante le Unità Motorie si può dedurre che un'altra strategia utilizzata dal nostro cervello per aumentare la forza è quella di aumentare la frequenza di scarica dei neuroni, la generazione di impulsi ad alta frequenza va ad attivare sopratutto le UM a contrazione rapida deprimendo in contemporanea le fibre a contrazione lenta (Bosco). 

Un'analisi più approfondita dell'espressione della potenza e dei metodi per svilupparla sarà fornita nel protocollo ministeriale 5\bis.

3. La relazione Forza-Velocità
Il muscolo esercita la sua azione accorciandosi in un determinato tempo, la relazione che esiste tra lo spazio (S) Spazio, accorciamento del sarcomero) ed il tempo (ΔT = Tempo di accorciamento) in cui avviene la contrazione è la velocità . La forza e la velocità sono qualità derivate dalla capacità del muscolo di sviluppare tensione nel tempo, queste due qualità se messe in relazione (FxV) determinano un'altra grandezza fisica: la potenza (P). 

La relazione che esiste tra la forza ed il tempo è stata studiata la prima volta da A. Hill nel 1938 relazionandole nella “curva di Hill” su studi eseguiti nel muscolo isolato. Risultati simili sono stati raggiunti da Bosco e Komi i quali, nel 1979, per primi hanno ottenuto risultati simili a quelli di Hill in vivo utilizzando contrazioni di tipo balistico.

La curva di Hill, mettendo in relazione la forza espressa dal muscolo e la velocità con cui tale forza viene espressa, è in grado di evidenziare il punto dove il muscolo riesce ad esprimere la potenza massima (Pmax). Il prodotto tra forza e velocità risulterà essere 0 sia durante una contrazione isometrica (velocità=0) che una contrazione alla massima velocità (forza=0), il raggiungimento del picco di potenza si manifesta ad una velocità di accorciamento intermedia.

La produzione massima si potenza si ha quando il muscolo si contrae ad un terzo della sua massima velocità di accorciamento, oppure ad un terzo della massima forza isometrica (Josephson, 1993). La caratteristica di questa relazione (FxV) è l'andamento iperbolico, quindi per sviluppare alte velocità i carichi dovranno essere bassi e di conseguenza anche la potenza rimarrà su valori modesti.

La valutazione della relazione forza-velocità è possibile impiegando tre metodiche diverse:

  • si misura la velocità di accorciamento (variabile dipendente) o allungamento del muscolo quando è sottoposto ad un determinato carico (variabile indipendente) .
  • accorciando o allungando un muscolo ad una velocità prefissata (variabile indipendente) e misurare la forza da esso sviluppata (variabile dipendente).
  • misurando la forza e la velocità di un muscolo durante un lavoro eseguito contro una resistenza variabile (tutte le variabili sono indipendenti).

Avendo chiarito i tre punti chiave è possibile iniziare a parlare della Potenza nel secondo capitolo.



Per approfondimenti sul controllo neuromuscolare o sulla fisiologia muscolare vi rimando ai riferimenti bibliografici alla fine del secondo capitolo, vero fiore all'occhiello dell'archivio ministeriale.

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