domenica 17 marzo 2013

L'importanza della Potenza 2: Develop the Power to the people

Protocollo Ministeriale 5\bis

L'importanza della Potenza 2: Develop the Power to the people 

Nel precedente dispaccio ministeriale sono stati portati alla luce i concetti di forza neuro-muscolare e la relazione forza tempo, grazie ad essi ora è possibile parlare della Potenza e di come poterla sviluppare in allenamento.

Nell'introduzione del precedente capitolo è stato detto che gran parte dei movimenti compiuti dall'uomo hanno come caratteristica principale quella di utilizzare la forza esplosiva.

Secondo l'ex commissario del Ministero della Forza(che il partito lo abbia in gloria) Carmelo Bosco la forza esplosiva è quella capacità neuro muscolare di sviluppare alti gradienti di forza in poco tempo. Il tempo con il quale la forza viene espressa dipende da molti fattori: il tipo di movimento, dalle condizioni in cui si trova il muscolo prima di compiere l'azione (pre-stirato o riposo), dalle strutture morfologiche della persona, dal grado di allenamento e dagli assetti neurali ed ormonali.

Deficit di Forza Esplosiva (ESD)

Possiamo quindi dire che per ottenere il valore di picco della forza massima occorre un tempo superiore ai 0,4 secondi (Zatsiorsky, 1996), in molti gesti sportivi il tempo utile per sviluppare la forza risulta essere decisamente inferiore a questo valore (0,18 sec. per il salto in alto e 0,16 per il getto del peso), viene da se che in tali movimenti non può essere sviluppata la forza massima. Riprendendo il discorso sulla curva forza-velocità fatto nel dispaccio n°5 ci rendiamo conto che ad una resistenza mano mano più bassa corrisponde una velocità più alta, la differenza che esiste tra la forza massima e la forza in una qualsiasi altra regione della curva F-V viene definita da Zatsiorsky Deficit di Forza Esplosiva (DFE) ed indica la percentuale di forza residua durante un determinato movimento. Sempre il membro del direttivo speciale V. M. Zatsiorsky ci viene incontro con un esempio illuminante: nel getto del peso i migliori atleti registrano distanze di 21 mt. ed il valore di forza che riescono ad esprimere nel tempo utile (0,16 sec. vedi sopra) è di 50, 60 kg (ricordiamo che la massa dell'attrezzo nel getto del peso è di 7,260 kg.). Le prestazioni di questi atleti in esercizi come la distensione su panca (esercizio utilizzato nell'allenamento in sala pesi, che ricalca in parte lo schema motorio del lancio) vanno dai 220 ai 240 kg. ovvero 110-120 kg. per braccio, pertanto l'atleta sfrutta solo il 50% della forza massima disponibile, è importante che durante la preparazione di questi atleti venga ridotto il DFE in modo da poter sfruttare gran parte della forza disponibile. C'è da dire anche che parte della forza accumulata in un esercizio viene persa durante il transfer ad un altro per via del differente schema motorio, questo non vuol dire che non si debba curare lo sviluppo della forza massima, essa è un capacità fondamentale che sta alla base di tutte le altre capacità, l'importante è non insistere oltremodo nel suo sviluppo. Chiunque con una buona programmazione può raggiungere i 160, 170 kg di distensione su panca, questa è una prestazione eccellente se il vostro sport non è il powerlifting ed ha un buon DFE per tutte le discipline di lancio e getto, ma se si insite a voler portare la prestazione di bench press oltre i 180kg allora si dovrebbe sottrarre del tempo all'allenamento per la disciplina principale ed impiegarlo per ottenere tale numeri. Inoltre le metodiche "amatoriali" risulterebbero sufficienti e si dovrebbe utilizzare tecniche sport-specifiche che allontanerebbe l'allenamento dal modello di prestazione di riferimento.

Le caratteristiche della Forza Esplosiva

Chiarito che nella potenza la forza massima ha un ruolo fondamentale ma non bisogna abusarne possiamo tornare a parlare della forza esplosiva. Le caratteristiche principali per lo sviluppo di tale capacità sono:
  1. L'ampiezza della frequenza degli impulsi che il cervello invia ai muscoli.
  2. Il numero di UM a cui arriva l'impulso.
  3. Tipi di UM a cui arriva l'impulso
  4. Il comportamento degli interneuroni inibitori (cellule di Renshaw e gentaglia varia), dei propiocettori, dei GTO, dei recettori articolari e dell'elaborazione del riflesso a livello spinale e sovraspinale.
  5. Condizione fisiologica in cui si trova la fibra muscolare prima dell'arrivo dello stimolo.
  6. Stato di allenamento della fibra muscolare.

Questo elenco ci porta direttamente verso la seconda parte del dispaccio ministeriale dove verranno elencati i Decreti Ministeriali per allenare la Potenza, tali decreti sono stati emanati durante una riunione qui al ministero a cui hanno preso parte dirigenti, commissari e membri del direttivo speciale.

DMAP (Decreti Ministeriali di Allenamento della Potenza)

Era una tiepida giornata primaverile di 3 anni fa quando nella sala delle riunioni Ministeriali "Kapustin Yar" il sottoscritto Ministro chiamò a consiglio il membro del direttivo speciale V. M. Zatsiorsky, il commissario Carmelo Bosco (consultato grazie ad una tavola Ouija gentilmente offerta da Mama Abigail), il commissario Y. Verkhoshansky ed  il sottosegretario Atko Viru. In questa importantissima riunione vennero emanati i DMAP (Decreti Ministeriali di Allenamento della Potenza). 

Secondo Verkhoshansky i metodi allenanti della potenza devono avere due livelli consequanziali di specificità:
  1. Si inizia utilizzando mezzi meno specifici utili a costruire la capacità di lavoro della persona, per passare in seguito ad esercizi con un effetto allenante maggiore per evitare futuri infortuni
  2. In seguito di utilizzano mezzi altamente specializzati per assicurare l'incremento della forza nei movimenti chiave.
Ogni esercizio inserito nel protocollo di allenamento deve essere in grado di massimizzare il guadagno di potenza muscolare in un determinato regime (che rientra nel modello di prestazione scelto). Visto Che la potenza ha due componenti: forza e velocità, gli allenamenti dovranno essere in grado di enfatizzare
  • L'espressione della forza in movimenti specifici per la prestazione richiesta.
  • la velocità di incremento di produzione della forza.
Tenendo bene di conto questi due aspetti, l'aumento graduale dello stimolo allenante implica che i mezzi ed i metodi devono essere introdotti  nella sequenza seguente:

  1. Rinforzo della coordinazione intra ed inter-muscolare (allenamento della forza massima F-Max)
  2. Incremento della produzione di forza prodotta nei movimenti chiave
  3. Aumento della velocità di espressione della forza nei movimenti chiave.
Lo sviluppo dei primi due punti riguarda l'allenamento della F-Max globale e nel modello di prestazione, il terzo punto è quello   che andremo ad analizzare di seguito.

Secondo Hill (1938) la massima potenza muscolare si ottiene intorno al 35/40% della forza massima isometrica e la velocità di accorciamento è intorno al 35-45% della Velocità Massima, un allenamento diretto alla potenza prevede un carico intorno al 70% dell 1 RM e la potenza intorno al 90% della Potenza Massima, il numero di ripetizioni viene determinato dal numero di prove effettuate dal soggetto SOPRA la soglia target del 90% della PMAX,(vedere nota ministro a fondo dispaccio) tale allenamento permette di abbassare la soglia di reclutamento delle UM, questo meccanismo è frutto degli stimoli ad alta frequenza che vengono inviati dal SNC alla periferia, essi sono in grado di modificare l'eccitabilità dell'unità motoria rendendola attiva già a soglie più basse.

Secondo Bosco e Verkhoshansky è possibile allenare la forza massima anche con carichi intorno al 70-75% se vengono eseguite con il massimo sforzo (intenzione di muovere il bilanciere più velocemente possibile), in questo caso il Sistema Nervoso riceverà uno stimolo intenso tanto quanto quello ricevuto durante un allenamento con carichi del 95%-100% dell'1RM.

La Forza Massima e la Forza esplosiva sono create dalle stesse strutture e questo fa si che questi due aspetti della forza hanno moltissimi fattori neuromuscolare in comune:

  • Ampiezza e frequenza degli impulsi che dal cervello arrivano ai muscoli
  • sincronizzazione delle varie UM
  • Influenza del bio-feedback (interneuroni inibitori) e GTO
  • potenziamento del riflesso da stiramento
  • influenza sull'ipertrofia miofibrillare (aumento della sezione trasversa del muscolo dovuta alla creazione di nuove proteine contrattili all'interno della cellula, diversa dall'ipertrofia sarcoplasmatica che invece riguarda solo l'aumento della componente acquosa della cellula).
Quello che è sfuggito per anni ai preparatori è che uno dei fattori principali (oltre a quelli elencati sopra) dello sviluppo della potenza è di natura endocrina, ovvero la produzione di testorone. Questo ormone ha importanti effetti sullo sviluppo della forza esplosiva (Bosco, 1993. Kramer, 1992). Inoltre si è visto che uno sforzo prolungato a bassa potenza (corsa lenta protratta nel tempo caratterizzata da un trasmissione di impulsi a bassa frequenza che inibiscono la capacità del muscolo di sviluppare stiffness) crea una concentrazione elevata di Beta endorfine che causano una riduzione dell'ormone LH (liutenizzante) che a sua volta cessa di stimolare la produzione di testosterone nelle gonadi.

Detto questo è possibile pensare di aumentare la potenza (e di conseguenza il nostro 1RM) seguendo un determinato tipo di allenamento che tenga conto non solo dell'entità del carico da sollevare ma anche della velocità con cui tale carico viene sollevato.
Come è possibile conoscere la velocità con cui un carico viene spostato? qui al ministero abbiamo studiato due modi:
  1. Metodo "ad occhio"
  2. Metodo isoinerziale
Il primo risulta il più approssimativo ma sicuramente più economico, semplicemente la serie di ripetizioni viene fermata quando la velocità di sollevamento inizia a calare (anche di poco). Il secondo metodo prevede l'utilizzo di un dinamometro isonierziale, ovvero uno strumento elettronico in grado di rilevare la velocità di spostamento di un corpo, ne esistono di vari tipi in commercio, ci sono quelli che si collegano al bilanciere tramite un filo (ergopower della Bosco Systems), oppure quelli wireless (Free power della Sensorize), grazie a questi bellissimi attrezzi è possibile:

  1. Costruire la curva forza-velocità della persona.
  2. impostare una soglia della potenza max (ottenuta grazie alla curva F-V) durante le alzate.
  3. avere la segnalazione in tempo reale di quando l'alzata esce dal range di potenza impostato precedentemente.
Il contro di questo metodo è il costo dei giocattolini, anche il più economico (Myotest) non scende sotto gli 800€, figuriamoci gli altri. 

Il metodo ad occhio rimane il più abbordabile e sicuramente con il tempo l'occhio del Coach (meglio di quello della tigre) diventa più preciso nell'individuare i cali di potenza durante le serie.

Naturalmente questo è il "come" sviluppare la potenza, il "quando" verrà affrontato nel dispaccio ministeriale sulla programmazione.

Nota del Ministro:

Il Dispaccio ha subito una modifica per quanto riguarda l'affermazione del Prof. Carmelo Bosco a riguardo dell'attivazione delle unità motorie veloci prima di quelle lente, affermazione che non possiede nessun riscontro in letteratura e, pertanto, è stata sostituita con quello presente negli studi di De Luca, Desmet & Godaux e Van Cutsem.


Bibliografia
  • Changes in single motor unit behaviour contribute to the increase in contraction speed after dynamic training in humans.
    Micha‡el Van Cutsem, Jacques Duchateau and Karl Hainaut
    Laboratory of Biology, Universit‹e Libre de Bruxelles.
  • Neurobiology of muscle fatigue
    ROGER M. ENOKA AND DOUGLAS G. STUART
    Departments of Physiology and Exercise and Sport Sciences, University of Arizona, Tucson, Arizona 85721
  • Van Cutsem, M., Duchateau, J. & Hainaut, K. (1998)Changes in single motor unit behaviour contribute to the increase in contraction speed after dynamic training in humans. Journal of Physiology 513, 295–305.
  • De Luca, C.J. & Erim, Z. (1994) Common drive of motor units in regulation of muscle force. Trends in Neuroscience 17, 299–305.
  • De Luca, C.J., LeFever, R.S., McCue, M.P. & Xenakis, A.P. (1982) Behavior of human motor units in different muscles during linearly varying contractions. Journal of Physiology (London) 329, 113–128.
  • Henneman, E. & Mendell, L.M. (1981) Functionalorganization of the motoneuron pool and its inputs.
    In: Handbook of Physiology. The Nervous System (ed.V.B. Brooks), pp. 423–507. American Physiological Society, Bethesda.
  • La forza muscolare. Aspetti fisiologici ed applicazioni pratiche, SDS. Carmelo Bosco

  • Special strength training. Manual for coaches. 
    Yuri Verkhoshansky, Natalia Verkhoshansky.
  • Scienza e pratica dell'allenamento della forza.
    Valdimir M. Zatsiorsky, William J. Kraemer.
  • The Encyclopaedia of Sports Medicine An IOC Medical Commission Publication, Strength and Power in Sport: Olympic Encyclopedia of Sports Medicine: 2nd Edition, Volume III.

lunedì 11 marzo 2013

L'importanza della Potenza 1: Power to the people

Protocollo Ministeriale 5

La potenza è l'espressione di forza più comune nel movimento umano, dal camminare al sollevare i pesi.
Quando si pianifica un allenamento non si deve prendere in considerazione solo lo sviluppo della forza ma anche il tempo impiegato per la sua espressione. 
Prima di entrare nello specifico vanno chiariti alcuni concetti.
  1. Cosa è la forza neuro-muscolare.
  2. Meccanismi di sviluppo della forza.
  3. La relazione Forza - Velocità.
1.  Secondo Zatsiorsky la forza neuro-muscolare è la capacità di contrastare o vincere un'opposizione esterna con uno sforzo muscolare. La forza in fisica è una misura istantanea dell'interazione tra due corpi ed è un vettore quantitativo caratterizzato da: grandezza, direzione e punto di applicazione. Al ministro e a tutti i lavoratori del ministero interessa il continuum forza-tempo piuttosto che una misura istantanea, visto che i movimenti dell'uomo richiedono del tempo per essere compiuti. Le forze che agiscono durante i movimenti sono definite forze interne e forze esterne, le forze interne sono quelle che vengono applicate tra parti del corpo umano (forza trasmessa da un tendine all'osso etc.), mentre le forze esterne sono quelle applicate dalla persona all'ambiente esterno. Il muscolo, ovvero "il mezzo" con cui è possibile sviluppare la forza ed interagire con il mondo non fa grandi cose, in realtà ne compie una sola: si accorcia se stimolato (azione miometrica)(Sherrington. 1932). Il muscolo può venir allungato non solo quando è "spento" ma anche durante la sua attivazione (azione "cedente" pliometrica) oppure può generare forza senza che si verifichi l'avvicinamento dei capi articolari (azione isometrica).

2. Essere forti è un'abilità. Cos'è un'abilità? ci aiuta il sottosegretario Kurn Meinel: 

"Si definiscono abilità motorie tutte quelle azioni e movimenti che, attraverso la ripetizione del gesto, vengono apprese in modo stabile da un individuo, tanto da essere ripetute in modo automatico, cioè senza l'intervento consapevole dell'attenzione. Si identificano quindi con la parte visibile del movimento e rappresentano il risultato finale di un processo di apprendimento." 

La Forza come descritta al punto 1 in genere è classificata come "capacità" ma per poter esprimere al meglio questa capacità si deve passare attraverso un processo di apprendimento del gesto motorio. Più lo schema motorio del gesto (saltare, sollevare pesi etc etc..) è raffinato più saremo in grado di esprimere forza dato che, in seguito ad allenamenti ben strutturati, avremo raffinato la coordinazione e alzato la soglia di tolleranza dei meccanismi di controllo neuro-muscolari (grado di tensione e allungamento del muscolo).

Risulta estremamente improbabile che un essere umano riesca a sollevare incolume  più di 130kg nello strappo olimpico senza averlo mai provato prima. Anche se questa ipotetica persona avesse una sezione trasversa dei muscoli molto grande(fattore considerato importante per l'espressione della forza) non riuscirebbe a portare a termine tale gesto sportivo. Al contrario un altro soggetto, in questo caso poco muscoloso, potrebbe tranquillamente eseguire uno snatch con 130kg se debitamente allenato ad imparare il gesto in questione.

La via di acquisizione della forza rientra appieno nei tre stadi  dell'apprendimento motorio descritti sempre dal sottosegretario Kurn Meinel:
  1. Fase della coordinazione grezza. Il processo di apprendimento inizia con la comprensione del compito di apprendimento da parte della persona, segue poi una prima rappresentazione del decorso del movimento, che si presenta in forma grezza, incompleta e spesso anche errata. A seguito di ciò vi sono i primi tentativi di esecuzione del movimento, dove i movimenti parziali non sono coordinati tra di loro, il controllo degli arti non è ottimale, l’azione globale si presenta come azioni scomposte, e la loro errata coordinazione non permette di svolgere il compito di movimento richiesto. In questa fase sono assenti gli automatismi, per cui l’allievo è costretto a controllare consapevolmente ogni aspetto del movimento, il che rende il gesto abbastanza goffo e impreciso.
  2. Fase della coordinazione fine,  l'esecuzione del gesto in condizioni favorevoli è priva di difetti, ma se intervengono fattori di disturbo questi riemergono e l'esecuzione si presenta instabile.
  3. Sviluppo della disponibilità variabile, et voilà, signore e signori, i numeri! Tale fase va dallo stadio della coordinazione fine al momento in cui l’allievo è in grado di eseguire il movimento con sicurezza e in maniera efficace, anche in condizioni difficili e inusuali.
Ora se ci fate caso, le tre fasi descritte sopra non riguardano solo i gesti atletici ma praticamente tutte le forme di apprendimento umano, questo perché esiste un denominatore comune a tutto: il cervello. 

Il cervello apprende, punto, che sia un movimento o una poesia.

Come e dove nasce il gesto motorio?
La programmazione di un movimento nasce nella corteccia premotoria, motoria supplementare e altre aree associative del cervello. Gli input generati in queste aree, nel cervelletto e in alcuni gangli della base convergono nella corteccia motoria primaria. L'impulso risultante dal rapporto tra eccitamento ed inibizione dei neuroni viene trasmesso ai neuroni spinali ed ai motoneuroni α che, insieme alle fibre muscolari innervate, formano l'unità motoria. 
Il motoneurone α (che parte dal midollo fino al muscolo target) è il punto finale dove convergono tutti gli input discendenti e dei riflessi.
Il numero di unità motorie per muscolo va da 100 (per un piccolo muscolo della mano) a 1000 (per i grandi muscoli degli arti) (Henneman. 1981). 
Secondo Burke (1981) esistono 3 tipi di unità motorie: Veloci, Resistenti alla fatica e Lente. 
Naturalmente maggiori unità motorie vengono reclutate, maggiore sarà la forza espressa, il modo in cui queste UM vengono chiamate al dovere dipende dal tipo di azione che dobbiamo compiere, le UM con bassa soglia di attivazione si accendono quando è richiesta poca forza e molta resistenza, quando invece il gioco si fa duro e viene richiesta molta forza o/e espressioni di forza rapida allora si attivano quelle con soglia di attivazione alta ad alto affaticamento (Henneman & Mendel. 1981).
Il cervello non controlla le UM singolarmente ma rispondono in gruppi a determinate frequenze di scarico inviate dal cervello per le vie discenti. Più l'impulso è intenso più unità motorie rispondono all'appello generando potenza (DeLuca, Erim. 1994).

Una volta che l'impulso raggiunge il muscolo, esso si contrae generando forza. Il controllo spinale del movimento è molto raffinato e viene gestito principalmente da due "sensori" presenti nel muscolo. Il primo è il fuso neuromuscolare, ce ne sono migliaia all'interno delle fibre di un muscolo e hanno il compito di monitorare la lunghezza del muscolo, la loro azione consiste, se attivati da un allungamento del muscolo improvviso o non riconosciuto, nel far contrarre il muscolo agonista (quello che compie il movimento). Questo è un riflesso elaborato nella spina dorsale chiamato "riflesso da stiramento" spesso richiamato in molti gesti atletici (dai lanci nell'atletica allo stacco da terra, passando per le alzate olimpiche). Un'altro piccolo organo di senso inserito nella giunzione muscolo-tendinea è l'organo muscolo-tendineo del Golgi, GTO per gli amici, questo organello ha il compito di vegliare sullo stato di tensione del muscolo, se viene generata una tensione eccessiva dal muscolo agonista il GTO, attraverso un'altro riflesso spinale, spegne il  muscolo agonista e attiva l'antagonista facilitandone l'allungamento. Da qui si realizza che la coordinazione fine dei movimenti non dipende solo dall'attivazione muscolare ma anche dalla deattivazione muscolare. Quando si prova a distendere un braccio l'azione sarebbe impossibile se il muscolo antagonista (bicipite brachiale) fosse contratto.

Uno dei fattori più importanti nel percorso di apprendimento della forza è l'innalzamento della soglia di attivazione dei GTO, questo significa che è possibile generare più tensione muscolare senza che il muscolo agonista venga spento. 
L'intervento dei GTO è una delle cause della scarsità di forza applicata dai principianti, i GTO di queste persone, percependo una tensione "mai provata prima" (touched for the very first time... come cantava Madonna) danno l'ordine di staccare tutto e chiudere bottega. Mano mano che il principiante guadagna esperienza i GTO (e non solo, esistono altri organi di controllo, come gli interneuroni inibitori) alzano la soglia di attivazione permettendo al nostro ragazzo di farsi valere contro il bilanciere. 

Da quello che abbiamo visto in precedenza riguardante le Unità Motorie si può dedurre che un'altra strategia utilizzata dal nostro cervello per aumentare la forza è quella di aumentare la frequenza di scarica dei neuroni, la generazione di impulsi ad alta frequenza va ad attivare sopratutto le UM a contrazione rapida deprimendo in contemporanea le fibre a contrazione lenta (Bosco). 

Un'analisi più approfondita dell'espressione della potenza e dei metodi per svilupparla sarà fornita nel protocollo ministeriale 5\bis.

3. La relazione Forza-Velocità
Il muscolo esercita la sua azione accorciandosi in un determinato tempo, la relazione che esiste tra lo spazio (S) Spazio, accorciamento del sarcomero) ed il tempo (ΔT = Tempo di accorciamento) in cui avviene la contrazione è la velocità . La forza e la velocità sono qualità derivate dalla capacità del muscolo di sviluppare tensione nel tempo, queste due qualità se messe in relazione (FxV) determinano un'altra grandezza fisica: la potenza (P). 

La relazione che esiste tra la forza ed il tempo è stata studiata la prima volta da A. Hill nel 1938 relazionandole nella “curva di Hill” su studi eseguiti nel muscolo isolato. Risultati simili sono stati raggiunti da Bosco e Komi i quali, nel 1979, per primi hanno ottenuto risultati simili a quelli di Hill in vivo utilizzando contrazioni di tipo balistico.

La curva di Hill, mettendo in relazione la forza espressa dal muscolo e la velocità con cui tale forza viene espressa, è in grado di evidenziare il punto dove il muscolo riesce ad esprimere la potenza massima (Pmax). Il prodotto tra forza e velocità risulterà essere 0 sia durante una contrazione isometrica (velocità=0) che una contrazione alla massima velocità (forza=0), il raggiungimento del picco di potenza si manifesta ad una velocità di accorciamento intermedia.

La produzione massima si potenza si ha quando il muscolo si contrae ad un terzo della sua massima velocità di accorciamento, oppure ad un terzo della massima forza isometrica (Josephson, 1993). La caratteristica di questa relazione (FxV) è l'andamento iperbolico, quindi per sviluppare alte velocità i carichi dovranno essere bassi e di conseguenza anche la potenza rimarrà su valori modesti.

La valutazione della relazione forza-velocità è possibile impiegando tre metodiche diverse:

  • si misura la velocità di accorciamento (variabile dipendente) o allungamento del muscolo quando è sottoposto ad un determinato carico (variabile indipendente) .
  • accorciando o allungando un muscolo ad una velocità prefissata (variabile indipendente) e misurare la forza da esso sviluppata (variabile dipendente).
  • misurando la forza e la velocità di un muscolo durante un lavoro eseguito contro una resistenza variabile (tutte le variabili sono indipendenti).

Avendo chiarito i tre punti chiave è possibile iniziare a parlare della Potenza nel secondo capitolo.



Per approfondimenti sul controllo neuromuscolare o sulla fisiologia muscolare vi rimando ai riferimenti bibliografici alla fine del secondo capitolo, vero fiore all'occhiello dell'archivio ministeriale.

sabato 2 marzo 2013

Task: The Swing

Protocollo ministeriale N. 4


Lo Swing

Il kettlebell training è una delle attività principali portate avanti qui al Ministero, negli ultimi anni questo strumento ha riscosso un grande successo, purtroppo la quantità del successo ottenuta nel mondo fatato del fitness è inversamente proporzionale alla qualità dell'attività praticata. 

Il personalissimo giudizio del ministro è che il kettlebell training da il meglio solo negli esercizi balistici, secondo Tildow G. un movimento balistico implica un tempo di partenza ridotto, velocità massima e nessuna possibilità di modificare il movimento durante l'esecuzione, questo ci porta all'aggettivo dato da Keele: il movimento balistico è pre-programmato. Tale tipologia di movimenti fa si che che l'impulso nervoso necessario per l'esecuzione del gesto balistico sia compresso nel tempo con una modulazione della frequenza di innervazione oltre la soglia dei 100Hz (Buhrle, M: 1995, Komi, P: 2003). 
Riassunto velocemente significa che, attraverso gesti balistici, andiamo ad allenare la capacità di esprimere maggiori gradienti di forza in minor tempo, importante in molte forme di movimento umano.

L'esercizio balistico più essenziale dopo il salto è lo swing con kettlebell, badate bene all'aggettivo "essenziale", da non confondersi con "facile", lo schema motorio dietro ad un salto o allo swing è complesso perché richiede la sincronizzazione di  più catene cinetiche. 

Prima di continuare con il dispaccio ministeriale è doveroso fare una piccola precisazione sulla tecnica di swing presa in esame, lo swing analizzato dai due studi che fanno da pilastro a questo articolo (si trovano alla fine dell'articolo, sezione bibliografia) è quello comunemente definito "RKC", portato alla luce da Pavel Tsatsouline, che ha delle differenze tecniche rispetto al "mezzo strappo" del girevoy sport, questo non significa che uno sia meglio dell'altro ma solo che, a causa della scarsità di studi attendibili nell'archivio del ministero, è possibile approfondire solo il primo.

Lo swing è un esercizio che sviluppa la resistenza della muscolatura appartenente alla catena cinetica posteriore, la potenza che muove il peso nasce dalle anche e viene trasmessa attraverso la muscolatura del tronco alle braccia. Durante questo movimento oscillatorio la respirazione deve essere sincronizzata con la fase concentrica ed eccentrica facendo attenzione però a mantenere sempre tensione nella zona lombare-addominale.

Tabella 1:(KETTLEBELL SWING, SNATCH, AND BOTTOMS-UP CARRY: BACK AND HIP MUSCLE ACTIVATION, MOTION, AND LOW BACK LOADS STUART M. MCGILL ND LEIGH W. MARSHALL, la sottolineatura è del Ministro, materiale usato per il corso di riatletizzaione)

Dallo studio di McGill (Tabella 1) è possibile vedere la percentuale di massima contrazione volontaria di alcuni muscoli appartenenti in gran parte alla catena cinetica posteriore, ora, nella tabella sono presenti 3 tipi di swing: swing semplice semplice, swing con kime (決め) e  quello che tutti chiamano snatch (strappo). Cos'è lo swing con kime(決め)? sicuramente ha poco a che vedere con il caffè con utopia ordinato ad un giovane Lino Banfi in "vieni avanti cretino", film tanto caro al Ministro. 
Il kime (決め) è una parola orientale usata da Bruce Lee (altro attore cult per il Ministro) servita per definire l'azione di reclutare con la massima velocità gran parte dei muscoli e concentrare tutta la forza così prodotta nel pugno. Per ottenere questa contrazione massimale si deve passare da uno stato di massimo rilassamento ad uno stato di massima contrazione.

Fig. 1 

Fig. 2

Tale tecnica è usata nello swing, precisamente nella posizione  illustrata nella figura 1. La differenza sostanziale tra lo swing classico e lo swing con kime (決め) si trova nella maggiore attivazione del retto femorale e dell'obliquo interno, tale metodo riduce la l'intensità sia delle forze di compressione che delle forze di taglio che agiscono sulla schiena rispetto allo swing classico (McGill 2012).

Tabella 2.(KETTLEBELL SWING, SNATCH, AND BOTTOMS-UP CARRY: BACK AND HIP MUSCLE ACTIVATION, MOTION, AND LOW BACK LOADS STUART M. MCGILL ND LEIGH W. MARSHALL)

Nella Tabella 2 viene riassunto il comportamento di 3 gruppi muscolari molto importanti: schiena, glutei e addome, volgarmente chiamati "Core". Da qui è facile dedurre che lo swing da solo basta e forse, per molti, avanza come esercizio definitivo per rinforzare la muscolatura del tronco senza il disonore di utilizzare strumenti esotici ed inutili.

Dove e come viaggiano le forze durante questo movimento?

Il peso del kettlebell si scarica longitudinalmente lungo la schiena (linea rossa nella fig. 2) e se quest'ultima si trova in assetto neutro riesce a trasmettere la forza verso il basso, nel punto di massima flessione delle anche la tensione trasversale che grava sulla schiena è minima grazie al breve braccio di leva (linea gialla nella figura 2) tra la linea della forza centripeta (linea verde nella fig.2) e la bassa schiena. 
L'intensità delle forze di taglio e di compressione che agiscono sulla spina dorsale sono all'ordine di 461 N (forza di taglio nello swing senza kime (決め)) all'1,15 N di forza compressiva nello swing con kime (決め) (McGill 2012).

Da quello che abbiamo visto fino ad ora appare chiaro che lo swing è un ottimo esercizio per rinforzare la schiena, educare al corretto assetto della parete addominale e allenare il sistema nervoso centrale a generare maggiore potenza.
Tutti questi benefici naturalmente sono proporzionali all'anzianità di allenamento e, di conseguenza, al peso del kettlebell utilizzato. Il kettlebell preso in esame in tutti gli studi letti è quello da 16kg (1 Pood), peso che le Direttive del Ministero Della Forza ritengono "didattico" ovvero buono per fare pratica ma scarsamente allenante (almeno che non pesiate meno di 40kg o facciate più di 1000 ripetizioni generando un volume di 16 tonnellate, in questo caso però i sistemi allenati sono altri), è fondamentale nel kettlebell training utilizzare pesi consistenti facendo sempre attenzione alla corretta tecnica di esecuzione. Molte delle persone (indistintamente uomini e donne) che alleno nella mia palestra (detta il Ministero) fanno tutti swing con il 36 o il 40kg, nessuna di loro ha mai avuto problemi articolari o metabolici dovuti all'utilizzo di queste resistenze.

Un'altro studio molto interessante è quello pubblicato da Kenneth Jay (Kettlebell training for musculoskeletal and cardiovascular
health: a randomized controlled trial) ex Senior RKC dell'università di Copenhagen, meno imponente di quello pubblicato da McGill ma comunque interessante. In questo studio risulta evidente che un allenamento con i kettlebell (formato da swing a due mani, swing ad una mano e stacco da terra con kettlebell) ben programmato è sufficiente a ridurre i dolori al collo e schiena (Istogramma 1)


Istogramma 1 tratto da:Kettlebell training for musculoskeletal and cardiovascular health: a randomized controlled trial, Jay K.
Kettlebell swing e deadlift somministrati per 5 settimane, dalla prima settimana alla quarta il rapporto lavoro- recupero è di 1:2 (30 sec. Di lavoro e 1 min di riposo), all'inizio della quinta settimana il rapporto è di 1:1 (30sec. Di lavoro e 30sec di riposo).

Concludendo possiamo affermare che lo swing  risulta essere un esercizio molto utile nella GPP (preparazione fisica generale) e nel programma di riatletizzazione. Lo scopo di questo dispaccio è quello di costruire dei pilastri fondamentali che mostrano la validità di questo movimento, dico movimento perché lo swing è sì un gesto motorio fine a se stesso, ma è anche la base tecnica di tutti gli altri esercizi balistici del kettlebell training (ad esclusione dello slancio).
In tantissimi sport e in molte attività quotidiane la forza necessaria per compiere dei movimenti nasce dalle anche e non dalla schiena (che deve rimanere rigida "stiffened"), l'allenamento (sensato) del kettlebell training porta ad un rinforzo dei schemi motori più importanti: camminare, correre, saltare, lanciare, tutte attività che hanno come fulcro del movimento le anche e come "albero di trasmissione" la schiena e la parete addominale.

Bibliografia:


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Kettlebell training for musculoskeletal and cardiovascular health: a randomized controlled trial
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